Racconti in Class…room

Anno scolastico 2021/2022

Concorso di scrittura creativa - Secondaria Tesis di Vivaro - anno 2021-22

Presentazione

Data

dal 29 Giugno 2022 al 30 Giugno 2022

Descrizione del progetto

Racconti in Class…room

Concorso di scrittura creativa 

Nell’anno scolastico 2021/2022 la nostra scuola ha partecipato al concorso di scrittura creativa “Racconti in class…room” organizzato dal Liceo Leopardi Majorana in collaborazione con la Fondazione Pordenonelegge.it.

Dodici  alunni delle classi terze si sono cimentati nella scrittura di un racconto a partire da una frase tratta dal romanzo “I desideri fanno rumore” dello scrittore Paolo di Paolo. 

 “Se sei uno portato a immaginare o, quantomeno, a farsi un po’ i fatti degli altri, in una giornata qualunque, in un momento di noia, può capitarti di chiederti a cosa stia pensando lo sconosciuto o la sconosciuta che ti passa accanto.” (Giunti, 2021) 

Facciamo i complimenti ai due alunni del nostro plesso, i cui testi sono stati selezionati e pubblicati nell’ e-book che raccoglie i migliori  racconti dell’edizione 2021 del concorso. 

TESTI DEI VINCITORI

Ero seduto su una panchina, al parco, mi stavo girando i pollici ripensando alla lezione di educazione civica di oggi, ci avevano parlato dell’immigrazione, del perché la gente di certe parti del mondo scappasse dalla propria nazione per salire su barconi che reggono malapena il peso delle persone che vi sono a bordo per arrivare nel nostro continente. Insomma le cose di cui parlavano sempre al telegiornale. Alla fine dell’ora, quando la campanella ci congedò, il gruppo dei bulli della classe iniziò a dire cose del tipo: che se ne stiano a casa loro, vengono qua solo per rubarci il lavoro e altre cose del genere. Alzai lo sguardo per un attimo e solo in quel momento mi accorsi che un uomo dalla pelle scura come il carbone era davanti a me che mi fissava con due occhi che sembravano due scaglie di cioccolata fondente, per non parlare dei capelli ancora più scuri. In una mano teneva un cesto con dentro delle rose, dopo un approccio un po’ timido da parte di tutti e due mi limitai a liquidarlo con un semplice: “Non voglio niente, grazie”. Allora il venditore si allontanò, proprio in quel momento però mi venne in mente il libro che ci aveva letto il prof. di italiano, parlava di un immigrato che vendeva rose per mandare i soldi per il mangiare alla sua famiglia. Se sei uno portato a immaginare o, quantomeno, a farsi un po’ i fatti degli altri, in una giornata qualunque, in un momento di noia, può capitarti di chiederti a cosa stia pensando lo sconosciuto o la sconosciuta che ti passa accanto. E fu proprio quello che successe: iniziai a chiedermi se quell’uomo magari aveva una famiglia che contava sul fatto che una persona come me comprasse una rosa e magari adesso quell’uomo stava morendo di dolore perché non era riuscito a racimolare abbastanza per sfamare i suoi figli. Non indugiai oltre, mi alzai di scatto e lo inseguii urlandogli: “Fermo! Fermo! Aspetta!”. L’uomo si fermò, si voltò e inizio a balbettare:” Io, io non vogl..voglio dare fastidio, io ti assicura che a casa ho permesso.” Ci misi un attimo a capire ma poi lo rassicurai: ”Ma no, tranquillo, non sono un poliziotto, volevo solo proporti un affare.” Mi guardò in modo interrogativo, spaesato: “Io comprerò tutte le tue rose, in cambio io voglio sapere la tua storia”. “Ah adesso ho capito, ci sto.” Allora una volta finito di pagare le rose si sedette su una panchina, appoggiò la sua cesta, ora vuota, per terra e iniziò: “Il mio nome è Aadil”. “Piacere, io sono Mattia”. Allungai la mano e lui dopo qualche istante di esitazione me la strinse, poi riprese: “Vengo dallo Yemen, sono venuto qua in Italia due anni fa per poter guadagnare abbastanza da sfamare la mia famiglia, ho tre figli sai e nel mio paese non c’è molto lavoro. Io non ho una casa, dormo dove capita e raramente trovo qualcuno gentile e buono come te che è disposto ad aiutarmi comprando una rosa.” A quelle parole mi si scaldò il cuore. “Sai, molte persone mi vedono come una persona pericolosa ma io non ho mai fatto male a nessuno, c’è una cosa che proprio non capisco: perché voi bianchi non volete che noi veniamo nel vostro paese se siete stati voi i primi a venire nelle nostre terre per prosciugare tutte le risorse che potevate, e ora che qualcuno di noi scappa da situazioni tragiche per cercare una vita migliore o per cercare di darla alle proprie famiglie voi ci trattate come un pericolo e come degli invasori.” “Non lo capisco neanche io Aadil, abbiamo parlato di questo proprio oggi a scuola e molti miei compagni si messi a dire che siete gente pericolosa e cose del genere.” “Nessuno nasce razzista ma lo diventa per colpa delle cose che sente dire. Ma tu non pensi questo di me vero? Non pensi che io sia una persona pericolosa.” Me lo chiese con le lacrime agli occhi, singhiozzando. “Se pensassi questo di te non ti avrei chiesto di raccontarmi la tua storia”. Allora l’uomo abbozzò un sorriso e si congedò dicendo: “Beh sarà ora che vada a cercarmi un posto dove dormire, è una serata molto fredda.” Si alzò, raccolse il suo cesto di vimini, che probabilmente aveva intrecciato lui stesso dall’aspetto grossolano del contenitore, mi salutò, e fece per andarsene, ma gli afferrai il braccio e gli dissi: ”spetta, ti porto a casa mia.” “Dici sul serio?”. Me lo chiese con la stessa felicità negli occhi che vedi in un bambino al quale hai appena promesso una caramella. Appena varcai la soglia di casa col mio nuovo amico subito mia madre urlò: ”Chi è lui e cosa ci fa un nero in casa!?” “Mamma, ti sembra il caso?”. “Ti sembra il caso?! Sembra a te il caso di portare uno sconosciuto a casa?”. “Non è uno sconosciuto! Si chiama Aadil e viene dallo Yemen.” “Mattia, tranquillo, non importa.” “No, invece importa eccome! Da te mamma non me lo sarei proprio aspettato, hai le stesse idee dei bulli della mia classe!”. Sapevo di averla ferita con quelle parole ma non mi interessava, infatti si mise subito sulla difensiva: “Sarà, ma lui qua non entra!” Allora iniziammo a discutere furiosamente, ma quando mi voltai Aadil non c’era più, al suo posto era rimasto un pezzo di carta, un biglietto, mi chinai e lo raccolsi, lo aprii e in una scrittura molto arrangiata comparivano queste parole: grazie lo stesso, grazie di tutto, grazie di essere così come sei.

Però certe volte piangere fa bene

L’avevo notata tutta sola, che si aggirava per le strade di Highland Park, come se la tristezza l’avesse colpita in faccia. Aveva il viso rigato dalle lacrime; anche se era lontana da me, si intravedeva che aveva gli occhi rossi. Se sei uno portato a immaginare o, quantomeno, a farsi un po’ i fatti degli altri, in una giornata qualunque, in un momento di noia, può capitarti di chiederti a cosa stia pensando lo sconosciuto o la sconosciuta che ti passa accanto. Si girò di scatto e mi vide, vide che la stavo fissando. Si asciugò gli occhi con la manica della felpa blu che aveva addosso. Le feci cenno di avvicinarsi; lei con diffidenza iniziò a venirmi incontro. Si sedette vicino a me, sotto la tettoia di un negozio di alimentari. Mi presentai, iniziai a parlarle, e dato che non riusciva a smettere di piangere, le chiesi cosa fosse successo. Con un filo di voce e singhiozzando, iniziò a raccontarmi il motivo della sua tristezza. Era mattina, le sette e trentatrè, aveva appena finito di piovere e decise di andare a fare una camminata insieme al suo cucciolo di bulldog, come sempre. Amava fare lunghe passeggiate per i fitti boschi; seguire i sentieri la facevano sentire a disagio, così si avventurava ogni volta in una zona diversa della boscaglia. Iniziò a camminare, e tutto sembrava andare per il meglio: si sentiva il rumore che l’acqua emetteva spostandosi tra un sasso e l’altro del fiume, che si trovava al confine del bosco, sentiva il picchio e molti altri uccelli fischiettare sugli alberi, vedeva il suo cane cercare di prendere un piccolo scoiattolo che correva al riparo su un albero, e sentiva il vento scorrerle tra i lunghi capelli dorati; era incantata dall’intreccio che le chiome degli alberi creavano tra loro. Ad un certo punto, trovò un piccolo ruscello che le ostacolava la “strada”; c’era solo una corda legata al ramo dell’albero accanto. Si sporse per prenderla, cercando di non cadere; una volta afferrata, prese in braccio il cucciolo e si mise a cavalcioni sopra la lunga corda, prese la spinta, e in un batter d’occhio si ritrovò nell’altra sponda.

Continuò a camminare, finchè non trovò una piccola casa di legno, probabilmente abbandonata: era ricoperta da un muschio color verde militare, alcune tavole che formavano il tetto erano mancanti, sembrava cadere a pezzi da un momento all’altro. Presa comunque dalla curiosità, decise di entrare. La prima cosa che vide non appena varcata la porta fu un vecchio letto, ovvero una tavola di legno, appesa al muro con due catene, una per ogni lato corto dell’asse. Sopra il letto c’era una vecchia coperta ridotta brandelli; nell’angolo a destra della stanza c’era un piccolo tavolino. Si avvicinò lentamente, con il timore di trovare chissà che cosa appoggiatoci sopra; con sua sorpresa, non c’era niente, solo uno spago rosso che penzolava giù per il banco. Questo filo passava sotto il cornicione e andava a finire proprio nell’angolo della porta; sembrava essere stato posizionato come se qualcuno volesse dare un indizio per qualcosa. Seguì il filo fino alla sua estremità, non capendo dove volesse portarla; solo quando lei guardò più lontano della punta del suo naso, riuscì a vedere delle orme. Senza troppi indugi, decise di seguirle per vedere dove portavano. Continuò a seguirle per quello che sembrava un’eternità, solo che ad un certo punto le orme terminarono. Lei non riusciva a capire dove era sparita la persona che aveva lasciato quelle impronte … non poteva essere sparita nel nulla da un momento all’altro. Alzò la testa un attimo, e fu in quel preciso momento che vide la più orribile scena che si potesse mai vedere: una persona, una persona pallida come un fantasma, che stava lì, appesa ad una corda, impiccata. Era senza parole, anche lei era diventata tutta bianca, un cadavere, non riusciva a respirare e i suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime, era sotto shock; non sapeva che fare, avrebbe potuto andarsene, e fare finta di non essere mai stata in quella parte di bosco, avendo così una sorta di senso di colpa, oppure chiamare la polizia e raccontare tutto quello che aveva visto e fatto. Ci pensò un secondo, solo un secondo, e poi decise di far finta di niente; pensò che se avesse chiamato la polizia, probabilmente questi avrebbero sospettato che in realtà era stata lei ad impiccare quella povera persona; così piuttosto che avere guai con persone armate e che potrebbero metterla in prigione da un momento all’altro, decise di stare in silenzio. Riprese a camminare, e mentre passeggiava continuava a pensare alla sua scelta, e cercava di darsi un motivo per il quale quella persona aveva compiuto un atto del genere: magari quell’uomo aveva avuto una vita orribile e pensava che vivere non aveva più senso, oppure la sua mente le diceva che lui si meritava solo di provare dolore, o magari quella persona aveva compiuto quell’azione per il semplice motivo che aveva un senso di colpa che gli divorava l’anima. Le persone quando compiono l’azione del suicidio è perché non si ritengono degne di continuare a vivere una vita che li farà sentire solo una delusione, sia per loro stessi, che per tutte le persone che gli stanno accanto e che gli diranno solo: “devi avere molta pazienza, e vedrai che tutto si risolverà”. Molte volte è così, ma altre volte le persone non riescono a sopportare tutto il dolore che provano. Questa fu tutta la storia che mi raccontò, con infinite lacrime che le sgorgavano dagli occhi con una velocità assurda. Però certe volte piangere fa bene, io piango sempre per motivi veramente assurdi … alcune volte anche senza motivo, e devo dire che dopo ogni pianto, mi sento veramente bene, come se mi si fosse sbloccato qualcosa dentro; e forse anche lei dopo avermi raccontato tutto, si era tolta un peso che la faceva soffocare.

Obiettivi

Responsabile